Grammatica napoletana

Areale approssimato in cui si parla il dialetto napoletano

Il napoletano (napuletano) è una lingua romanza appartentente ai dialetti italoromanzi meridionali, parlata nel comune di Napoli e in una vasta zona circostante, comprendente molti comuni campani, tra cui Caserta, Capua, Castellammare di Stabia, Nola, Salerno, Amalfi. Il dialetto napoletano in accezione stretta non va confuso con la “lingua napoletana” intesa come il gruppo di dialetti romanzi affini parlati in gran parte dell’Italia meridionale, che formano insieme ai dialetti siciliani, a quelli centrali e a quelli toscani il gruppo delle lingue italoromanze, di cui fa parte ovviamente anche la lingua italiana. Tra i dialetti meridionali, appunto, è storicamente quello di maggior prestigio.

Nota dell’autore: ringrazio Mirko per la pazienza e l’aiuto fornito nello studio, e rimando alla sua pagina Instagram @neapxita.

1. Fonologia, pronuncia, grafia
2. Metafonesi
3. Genere neutro
4. Flessione nominale
5. Articoli
6. Preposizioni
7. Dimostrativi
8. Possessivi
9. Pronomi personali
10. Epitesi in -ne
11. Verbi ausiliari e principali irregolarità
12. Verbi regolari

1) Fonologia, pronuncia, grafia

La seguente tabella riporta su ognuna delle colonne il grafema utilizzato, il fonema corrispondente, un esempio di parola con il suono e gli allofoni, ovvero le possibili variazioni del suono in base alla sua posizione nella parola o nella frase. Seguono tutte le precisazioni ed esplicazioni necessarie, con alcune note di fonologia storica. I suoni sono indicati con l’Alfabeto Fonetico Internazionale; per una loro definizione generica se ne può consultare il sito ufficiale. La grafia che proponiamo si rifà a quella classica del Basile, del Cortese, dai vari autori teatrali e della canzone come Salvatore di Giacomo, con qualche minuto cambiamento, e alcune regole fissate con precisione sulla base della fonologia.

grafemafonemaesempioallofoni
‹a› /a/ anno ['anːə] [ɑ, ə]
‹b› /b/ buono ['bːwonə] [v]
‹c› (+ ‹e, i›) /t͡ʃ/ cerasa [ʃə'rasə] [ʃ, d͡ʒ]
‹c› (altri casi) /k/ cane ['kanə] [g]
‹q› quanno ['kwanːə]
‹d› /d/ duje ['dːujə] [r]
‹e› /ɛ/ erva ['ɛrvə] ~
/e/ essa ['esːə] [ə, i]
‹f› /f/ felice [fə'liʃə] [v]
‹g› (+ ‹e, i›) /d͡ʒ/ gente ['d͡ʒːɛndə] ~
‹g› (altri casi) /g/ granne ['granːə] ~
‹gn› /ɲ/ gnuoccolo ['ɲːwokːulə] ~
‹gli› /ʎ/ gliuommero ['ʎːwomːərə] [ʝ]
‹i› /i/ isso ['isːə] [j]
‹j› /j/ [jːi] [gj]
‹l› /l/ lengua ['leŋgwə] ~
‹m› /m/ mate ['matə] ~
‹n› /n/ notte ['nɔtːə] [ɱ, ŋ]
‹o› /ɔ/ otto ['ɔtːə] ~
/o/ ora ['orə] [ə, u]
‹p› /p/ pica ['pikə] [b]
‹r› /r/ robba ['rɔbːə] ~
‹s› /s/ signo ['siɲːə] [z, ʃ, ʒ, d͡z]
‹sc› (+ ‹e, i›) /ʃ/ scetà [ʃːə'ta] ~
‹t› /t/ tiempo ['tjembə] [d]
‹u› /u/ urzo ['urt͡sə] [w]
‹v› /v/ vino ['vinə] [b]
‹z› /t͡s/ zumpo ['t͡sːumbə] [d͡z]
/d͡z/ zella ['d͡zːɛlːə] ~

Vocali

Il napoletano dispone delle seguenti vocali; tra parentesi quadre sono riportate le pronunce effettive (cioè le realizzazioni) dei fonemi.

Vocali pretoniche Vocali toniche Vocali postoniche
/a/ /a/ /a/ [ə]
/e/ [ə, i] /ɛ/ /e/ [ə, i]
/e/
/i/
/u/ /ɔ/ /o/ [ə, u]
/o/
/u/

Per capire meglio il vocalismo napoletano, sarà utile osservare come cangiano le vocali dei verbi tra le forme accentate sulla radice (rizotoniche) e quelle accentate sulla desinenza (rizoatone); la prima persona del presente indicativo reca sempre la vocale radicale piena.

Vocali toniche Vocali pretoniche
cànto cantà
pènzo penzà
scetà
terà
scéto
tìro
tròvo truvà
dunà
jurà
dóno
jùro

I parlanti napoletani tendono a rilassare la pronuncia di certe vocali atone verso la vocale centrale media [ə], spesso chiamata dai linguisti “scevà”; tale suono si produce con la bocca completamente rilassata. La riduzione può variare da assente a completa in diverse parti della frase e in base a vari fattori, come la posizione in sintassi, o la velocità. Questo fenomeno induce molti a non scrivere alcuna vocale: *‹Napl› invece di ‹Napole›, ovviamente sbagliando. Di seguito una descrizione e alcune regole per scrivere correttamente le vocali. Queste regole in realtà vengono contraddette nella nostra grafia quando si scrivono dei prestiti, che non rispettano lo sviluppo naturale delle vocali napoletane, ma sono valide nella maggior parte dei casi.

La realizzazione di /a/ oscilla tra [a] e la sua controparte posteriore [ɑ] (pronunciata con la lingua arretrata). Quando è atona spesso si pronuncia come scevà.

/o/ dopo l’accento si pronuncia spesso come scevà [ə]; oppure come [u], ma questa ultima pronuncia solo se segue un’altra consonante: Napole ['napələ], oppure ['napulə]; anche una parola seguente può indurre la pronuncia come [u]: chillo cane ['kilːə 'kanːə], oppure ['kilːu 'kanːə]. Per rappresentare questo suono in posizione postonica, vista la frequente realizzazione come [u], gli scrittori spesso usano ‹u›; secondo noi invece va sempre scritto ‹o›, come è già prassi quando si trova a fine di parola: Napole, vruoccolo, mascolo, secolo, furmicola, spingola, cresuommolo, scavozo, diavolo.

/e/ non accentato si pronuncia spesso come scevà [ə], oppure come [i], ma questa ultima pronuncia solo se segue un’altra consonante: urdemo ['urdəmə] oppure ['urdimə]; scetà [ʃːə'ta] oppure [ʃːi'ta]; anche una parola seguente può indurre la pronuncia [i]: belle rrose ['bːɛlːə 'rːɔsə], oppure ['bːɛlːi 'rːɔsə]. Parallelamente a /o/, questo suono sarà sempre scritto ‹e›: anema, avivemo, fossemo, maneca, tiennero, peccerillo, napuletano, scetato, urdemo, Proceta.

Insomma, le uniche vocali postoniche accettate in grafia sono ‹a, e, o›; oltre a queste ‹i, u› sono accettate solo quando hanno valore consonantico (fauzo, aizo). Quelle in pretonia invece sono ‹a, e, u›; anche qui ‹i› fa eccezione quando rappresenta una consonante (aizà); ulteriore eccezione sono le parole composte con accento secondario, che saranno scritte con la vocale piena originaria: bonommo (bòn - òmmo), filosofeco (fìlo - sòfeco).

L’accento circonflesso ‹ˆ› non influisce sulla pronuncia ma segnala la fusione di due vocali, principalmente nelle preposizioni articolate e in taluni verbi, ed è necessario per disambiguare alcune voci (v. Preposizioni articolate).

Consonanti

Il grafema ‹j› (i longa) rappresenta l’approssimante palatale /j/. Quando è preceduta da una parola raddoppiante, questa consonante muta in [gj]: jatto, jì ['jatːə, ji] ma cane e jatte ['kanə e 'gːjatːə]; prima di /i/, la [j] di questo nesso cade: a jì [a gːi]. Trattandosi di un’allofonia, tale fenomeno non è da segnalarsi graficamente (fuori dall’eccezione discussa nella prossima sezione).

Dopo le consonanti nasali (‹m› /m/ e ‹n› /n/ [n, ɱ, ŋ]) qualsiasi consonante sorda si pronuncia sonora; essendo un fenomeno allofonico che si può verificare anche tra parole diverse, graficamente non è riprodotto, nemmeno internamente alle parole: sempre, cantà, ’nferno, janco, ’ncegnà si pronunciano ['sɛmbrə, kan'da, 'ɱvɛrnə, 'jaŋgə, nd͡ʒi'ɲːa]. /s/ dopo /n/ oltre a sonorizzarsi si affrica: ’n sango [n 'd͡zaŋgə].

/s/ si pronuncia: [ʃ] prima di /p, f, k/, come in spata ['ʃpatə]; [z] prima di /d, n, r, l/, come in sdigno ['zdiɲːə]; [ʒ] prima di /b, v, g, d͡ʒ, ɲ, m/, come in smorfia ['ʒmorfjə]. Tra vocali invece si pronuncia sempre sordo [s], e quindi sposa, rosa si pronunciano ['ʃposə, 'rɔsə], mai come gl’italiani “sposa, rosa” [spɔza, 'rɔza].

/t͡ʃ/ (la “C dolce”) tra vocali o ad inizio di frase si deaffrica in [ʃ] (come nell’inglese “she” e nel francese “chateau”, o anche nell’italiano “scia”, ma breve): pace ['paʃə]. Ciò però non quando è dopo una parola raddoppiante: cena, ’a cena, a cena ['ʃenə, a 'ʃenə, a 't͡ʃːenə].

/d/ quando è tra vocali o ad inizio di frase si rotacizza: pede, demane ['pɛrə, ri'manə]. Le parole raddoppianti però inibiscono questa allofonia: a demane [a dːi'manə].

/b, d͡ʒ/ sono doppi dopo una vocale o ad inizio di frase: buono, gente ['bːwonə, 'd͡ʒːɛndə].

Nel napoletano è presente un marcato betacismo, cioè la tendenza ad accorpare /b/ a /v/, come in varca. Tuttavia non si tratta di un fenomeno completamente regolare, infatti esistono parole come buono che conservano /b/. Inoltre, /v/ raddoppiato passa comunque, indipendentemente dall’origine, a [b]: tre varche, che vole [tre 'bːarkə, ke bːɔlə]. La norma grafica da noi adottata quindi è quella di scrivere sempre e solamente ‹v›, tranne nelle parole che conservano /b/ in isolamento (fuori dall’eccezione discussa nella prossima sezione).

Nel nesso /gw/, qualora non sia soggetto a raddoppiamento, /g/ cade (ma viene scritto in ogni caso): guaglione [wa'ʎːonə] ma tre guagliune [tre gːwa'ʎːunə].

L’apostrofo ‹’› si usa in generale negli stessi casi dell’italiano, e in particolare per segnalare l’aferesi, molto più diffusa che in italiano, negli articoli (’o da lo) e nelle parole che iniziano nei nessi con nasale + consonante (’nferno, ’ncantà, ’mmità, ’mmidia).

Raddoppiamento da articoli, aggettivi e pronomi

Come in italiano alcune parole inducono il raddoppiamento della consonante successiva a causa di una consonante etimologica, caduta in isolamento ma assorbita nella parola seguente: ad > a, eppure ad tē > a te [a tːe]. Essendo intrinseco alle parole che lo causano, come in italiano non si segnala graficamente. Noi abbiamo però scelto di fare eccezione per gli articoli, aggettivi e pronomi che, se sono femminili plurali o neutri singolari, causano il raddoppiamento nella parola successiva, ma di per sé sono spesso indistinguibili, tanto nella pronuncia quanto nella scrittura, da altre parole che invece non lo causano. Segnalare il loro effetto è obbligatorio, in quanto può causare differenze di significato: ’e figlie “i figli” ~ ’e ffiglie “le figlie”, ’e case “i casi” ~ ’e ccase “le case”. Solo in questo caso si rappresentano gli allofoni raddoppiati di /j, v/, cioè [gːj, bː], indicati con ‹gghi, bb›: jatte, voce dopo articolo volgono in ’e gghiatte, ’e bboce. ‹q› raddoppiata è resa come ‹cq›: ’e cquestione.

Testi d’esempio

Perché siano chiare le regole adottate, ecco alcuni testi nella nostra grafia.

E vienece, suonno, viene, accujetame sta criatura ca sta sera non ne vo’ ’n cuorpo de piglià suonno. Ah! E commo si ’nzista, non tiene suonno a uocchie, peccere’, sta serata? Accussì me diceva patremo quanno venette a lu munno, e sfastediosa sfastediosa non me vuleva addubbecchiare certe ssere. Povero patre mio; quanto ave sufferto pe mé. Quanta cure, quanta spese; quanta malanne non ll’è custata la nasceta mia! Pe fà che? Pe fà na femmenella no priesso a poco simmele a tutte ll’autre, e attese le ccircostanzie de famiglia direme ’n faccia, no juorno: va’, va’ t’abbuscà pane! Mo capesco che vo’ dicere paternetà, mo che so venuta a lu munno, e aggio canosciuto lu ccurto e lu lluongo. Mo m’arrecordo de le pprimme pparole ch’hanno ’ntiso ste rrecchie sia pe lu viaggio fatto, che pe li descurze che se so tenute ’n coppa a la lucanna. [Una madre cerca di far prender sonno al figlio]

Madamme Bovary. Mœurs de province (“Custume de pruvincia”), accurciato nurmalmente in Madamma Bovary, è uno de le rumanze chiù ’mpurtante de Gustavo Flaubert, pubblecato apprimma a puntate ’n coppa a lo giurnale “La Revue de Paris”, ’ntra lo primmo d’uttobbre e lo quinnece de decembre de lo 1856. La storia è chella de la mugliera de nu miedeco de pruvincia, Emma Bovary, ca stregne certe rrelazzione adulterine e vive chiù assaje de chello ca pò pe fuì da la noja, da la banaletà e da la mediucretà de la vita de pruvincia. Parlammo de una dell’opere chiù granne de la letteratura francese e munniale. [Informazioni sul celebre romanzo di Flaubert]

2) Metafonesi

La metafonesi è un fenomeno di armonia vocalica regressiva, in cui le vocali di una parola diventano più simili alla vocale finale, cioè si armonizzano, per agevolare la pronuncia. In napoletano la metafonesi è stata causata anticamente da /i, u/ in fine di parola ed è consistita nella mutazione delle vocali interne secondo questo schema, qualora la vocale finale fosse stata /i/ oppure /u/:

è > ié
é > i
ò > uó
ó > u

Dipendendo tale fenomeno dalle vocali finali, ed essendo le lingue romanze moderatamente flessive, si sono create molte differenze tra le varie forme di una stessa parola. Prendiamo l’aggettivo latino bŏnus, che si è evoluto in napoletano così: bŏnum > *bònu > *buónu > buóno (/u/ finale si è regolarmente aperto in /o/, che oggi è pronunciato come scevà [ə]). Allo stesso modo il plurale: bŏnī > *bòni > *buóni > buóne. Nella forma femminile invece la vocale finale era diversa, e difatti bŏnam ha dato bòna, senza alcun dittongo. In generale quindi possono esserci nella flessione di una parola differenze vocaliche:

3) Genere neutro

Una caratteristica delle lingue romanze è l’appartenenza di ogni sostantivo a un genere che ne determina la flessione e l’accordo. Nella maggior parte delle dette lingue sono presenti il genere maschile e il femminile, ma in alcune è presente un terzo genere, indipendentemente dall’origine detto neutro (dal latino neuter “nessuno dei due”). In napoletano il maschile contiene solo nomi contabili, e il neutro contiene solamente nomi non contabili, e che in italiano se hanno corrispettivi sono maschili: ’o taulo, ’o ciore, ’o peccerillo sono maschili perché sono contabili e determinati, mentre ’o ssale, ’o mmele, ’o mmale sono neutri perché non sono contabili. Ciò vuol dire che lo stesso lemma può essere maschile e neutro con significati diversi: ’o fierro indica un oggetto di ferro (e. g. un attrezzo), mentre ’o ffierro indica il ferro come materiale.

Tuttavia oltre ai sostantivi propriamente neutri si accordano al neutro varie parti del discorso:

Quando nelle costruzioni relative ci si riferisce a una proposizione, lo si fa al neutro: ’o ssaccio (che isso...), mentre se l’oggetto fosse stato maschile: ’o saje stu fatto? Lo stesso con i pronomi dimostrativi: chesto è chello che voglio.

4) Articoli

Articoli determinativi

Le forme degli articoli determinativi dimostrano grande varietà. Storicamente gli articoli erano per il maschile singolare lo o lu (lo mare o lu mare), per il femminile singolare la, e per il plurale si aveva le o li, tanto per il maschile (le peccerille o li peccerille) quanto per il femminile (le rrose o li rrose). Nel XX secolo le forme “integre” sono state in larga parte abbandonate nel napoletano informale urbano, in favore di quelle aferetiche, cioè prive della l- iniziale; dunque gli articoli nel parlato suonano il più delle volte ’o, ’a etc.

singolareplurale
prima di consonanteprima di vocaleprima di consonanteprima di vocale
maschile’oll’’ell’
femminile’all’’e + radd.ll’
neutro’o + radd.ll’

Come si è detto, l’articolo neutro causa il raddoppiamento del sostantivo seguente: ’o mmele, ’o mmale, ’o nniro, ’o rrock. Similmente, gli articoli plurali sono all’apparenza identici per entrambi i generi, ma l’articolo femminile causa il raddoppiamento nella parola successiva: ’o guaglione al plurale fa ’e guagliune, ma ’a guagliona fa ’e gguaglione. Probabilmente questo fenomeno deriva dalle consonanti finali degli antichi articoli romanzi in uso a Napoli (*illod mele, *illaes rosae, quest’ultimo derivato dalla fusione dell’accusativo illas col nominativo illae).

Articoli indeterminativi

singolare
prima di consonanteprima di vocale
maschilenun’
femminilenan’

All’articolo partitivo corrispondono perifrasi come nu poco ’e latte, quacche sordo.

5) Flessione nominale

La riduzione vocalica ha portato gli esiti dei plurali, e spesso anche del singolare e del plurale di una stessa parola (cane può voler dire tanto “cane” quanto “cani”), a coincidere. Alcuni sostantivi maschili derivanti da neutri latini hanno il plurale femminile e in -a. I neutri al plurale (ragionevolmente raro trattandosi di non contabili) si comportano semplicemente come maschili: ’e fierre “le qualità di ferro” (e ovviamente “gli attrezzi in ferro”).

In molti casi la differenza tra singolare e plurale viene sostenuta dalla metafonesi: ’o sèrpe > ’e sierpe, ’o pèttene > ’e piettene, ’o patrone > ’e patrune, ’o niespolo > ’e nnèspola, ’o milo > ’e mmela, ’o pède > ’e piede. Fenomeni simili sono ben diffusi nelle lingue europee: confrontare e.g. gl’inglesi “foot, man” al plurale “feet, men”.

singolareplurale
maschilefigli - o
uov - o
figli - e

ciur - e
ov - a
cior - e
femminilefigli - afigli - e
mat - e
mat - e
neutrofierr - o
mel - e

Come gli articoli, gli aggettivi al plurale femminile e al singolare neutro raddoppiano la consonante iniziale nel nome a cui si riferiscono, qualora li succeda: belle ccose, tante vvote, chello mmele.

Il vocativo si forma troncando il sostantivo sulla vocale accentata: Salvatore, Maria, Carlo, duttore, segnore > Salvato’, Mari’, Ca’, dutto’, segno’. Dei nomi composti si tronca solo l’ultimo elemento: Maria Cristina > Maria Cristi’.

6) Preposizioni

Le preposizioni sono le seguenti:

de, a, da, ’n, addó, cu, pe, tra (intra), fra (infra)

La funzione locativa è ricoperta da a, addó, en, dinto, che esprimono sia moto a luogo che stato a luogo. Addó si riferisce solamente a referenti umani: vaco addó ’o tabbacaro, jammo tutte ’e mise addó ’o dentista, stongo addó Lucia.

De (spesso con aferesi: ’e) ha numerosi utilizzi, tutti condivisi con l’italiano: di specificazione (è nu libbro ’e grammateca napulitana), possessivo (’a casa ’e Maria è chella là), complemento verbale, argomento (lle piace ’e parlà ’e puliteca), causa (me moro ’e famme).

A esprime anche il complemento di termine (lle dice tutte ccose a Sara) e talora introduce un oggetto animato (v. 9. Pronomi). Viene usato per esprimere moto a luogo anche davanti a nomi di regioni, nazioni e continenti: jette â Campania, â Spagna. Marca anche il possesso inalienabile e i rapporti di parentela in costruzioni quali è figlio a isso, simmo amice a Rafaele.

Da (spesso con aferesi: ’a) esprime la provenienza e il moto da luogo, similmente all’italiano: da Napole, dâ Spagna, da dinto â casa, se vestette ’a prevete “si vestì da (come un) prete”; in particolare esprime anche il complemento d’agente: nu libbro scritto ’a isso stisso.

’N è tipica di certe locuzioni cristallizzate: ’n terra, ’n coppa, ’n vocca, ’n ponta, ’n canna, ’n faccia, ’n cuorpo. Talora è usata anche per indicare lo stato in luogo riferendosi a stati o continenti (’n Italia, ’n Amereca).

Cu esprime le stesse funzioni del corrispettivo italiano “con”, cioè compagnia, mezzo e modo. Forma anche dei pronomi comitativi (v. 9. Pronomi personali).

Pe non differisce molto nell’uso dal “per” italiano.

Tra, fra, o anche intra, infra, hanno lo stesso uso che hanno in italiano, ma spesso sono sostituite dalla costruzione in miezo a.

Preposizioni articolate

Gli articoli “integri” rimangono semplicemente slegati: de lo re, a la majestra, cu la casa.

Insieme agli articoli con aferesi invece, le preposizioni perdono la vocale. Dato il gran numero di omografi che altrimenti si creerebbero, abbiamo giudicato nella nostra grafia di riprodurre sempre la fusione delle due vocali con un accento circonflesso, per disambiguare molti casi quali da “da” ~ “della, dalla”, de “di” ~ “delle, dalle” e simili. Anche qui la distinzione tra maschile e femminile al plurale e tra maschile e neutro al singolare è indicata dal raddoppiamento.

’o’a’ell’
dedell’
aôâêall’
dadall’
cucu ’ecull’
pepell’

7) Dimostrativi

Il napoletano possiede tre dimostrativi, consimili agl’italiani, chisto, chisso e chillo. I dimostrativi neutri chesto, chesso, chello si usano solitamente per riferirsi a delle proposizioni: chello che se fà, chesto è chello che voglio!, saccio chesto (che sottintendono altre frasi); si possono paragonare al “ciò” italiano (il cui corrispondente in napoletano sarebbe l’antiquato ciò/zò).

Chisto

Chisto indica qualcosa di vicino a chi parla, ed equivale all’italiano “questo”. Ha due forme diverse, una breve, usata solo quando è un aggettivo, e una “piena”, usata solitamente quando è un pronome, ma utilizzabile anche come aggettivo. L’avverbio di luogo corrispondente è ccà.

singolareplurale
prima di consonanteprima di vocaleprima di consonanteprima di vocale
maschilechisto
sto
chist’
st’
chiste
ste
chist’
st’
femminilechesta
sta
chest’
st’
cheste + radd.
ste + radd.
chest’
st’
neutrochesto + radd.
sto + radd.
chest’
st’

Chisso

Chisso indica qualcosa di vicino a chi ascolta, e corrisponde all’italiano “codesto”.

singolareplurale
prima di consonanteprima di vocaleprima di consonanteprima di vocale
maschilechissochiss’chissechiss’
femminilechessachess’chesse + radd.chess’
neutrochesso + radd.chess’

Chillo

Chillo indica qualcosa di distante da chi parla e da chi ascolta, e corrisponde all’italiano “quello”. L’avverbio di luogo corrispondente è llà, oppure lloco (entrambi col significato di “in quel luogo”).

singolareplurale
prima di consonanteprima di vocaleprima di consonanteprima di vocale
maschilechillochill’chillechill’
femminilechellachell’chelle + radd.chell’
neutrochello + radd.chell’

8) Possessivi

L’aggettivo possessivo, nelle costruzioni regolari, si può usare esclusivamente dopo al sostantivo. Citando Ferdinando Galliani in Del dialetto napoletano: “Un Napoletano, che sentisse dir mia mamma avrebbe tal paura, che griderebbe subito mamma mia!”.

Talora in luogo del possessivo semplice si usa la costruzione perifrastica dô mio, che viene sempre declinata in base al nome a cui ci si riferisce: n’amico dô mio, n’amica dâ mia, sorde dê mieje “un mio amico, una mia amica, soldi miei”.

maschile/neutrofemminile
singolarepluralesingolareplurale
1a persona singolaremiomiejemiameje
2a persona singolaretuojotuojetojatoje
3a persona singolaresuojosuojesojasoje
1a persona pluralenuostonuostenostanoste
2a persona pluralevuostovuostevostavoste
3a persona pluralellorollorollorolloro

Possessivi enclitici

I possessivi enclitici sono aggettivi in forma di particelle atone aggiunte al nome a cui si riferiscono. Si utilizzano esclusivamente per i nomi di parentela: patemo, fratemo, muglierata, nonnata “mio padre, mio fratello, tua moglie, tua nonna”.

maschilefemminile
1a persona singolare-mo-ma
2a persona singolare-to-ta

9) Pronomi personali

Il pronome dativo di terza persona ha due forme possibili: lle dico e ce dico entrambi vogliono dire “dico a lui, a lei, a loro”. Ce ha anche la variante ’nce.

Il pronome neutro, come l’articolo, raddoppia l’eventuale verbo che segue: ’o ddice, ’o bbide, ’o ssaccio “lo dice, lo vedi, lo so”.

soggettooggettoobliquotermineriflessivo
1a persona singolareiomememe
2a persona singolaretutetete
3a persona singolareisso (m.)
essa (f.)
lo (m.)
la
(f.)
lo + radd. (n.)
isso (m.)
essa (f.)
lle
ce, ’nce
se
1a persona pluralenujece, ’ncenujece, ’ncece, ’nce
2a persona pluralevujevevujeveve
3a persona pluralellòrole (m.)
le + radd. (f.)
llòrolle
ce, ’nce
se

Vi è anche un pronome comitativo, che ha solo prima e seconda persona singolari: cummico, cuttico equivalenti a cu mé, cu té “con me, con te”.

10) Epitesi in -ne

La particella -ne si può aggiungere alle parole tronche, in genere ai monosillabi, con valore puramente ritmico: no > none, tu > tune etc.

11) Verbi ausiliari e principali irregolarità

I tempi composti si formano come in italiano coniugando avé + participio passato nella diatesi attiva, o èssere + participio passato nella diatesi passiva. Nella formazione dei composti attivi, essere non è contemplato (si sta diffondendo, ma si tratta di influenza italiana), anche quando il verbo sia intransitivo o riflessivo: aggio juto, ha muorto, t’haje vestuto (confrontare l’inglese “I have gone, he has died, thou hast dressed thyself”). Per formare il passivo invece si userà essere come in italiano: fu vattuto, fujemo salutate. In questo paragrafo gli accenti delle parole sono sempre specificati; naturalmente nella scrittura normale ciò è inutile.

Essere

Quando lo stato in cui il soggetto si trova è temporaneo, gli si predilige stà: stongo a Napule, stongo ammalato, però songo napuletano, songo junno.

indicativo
presenteimperfettoperfettofuturo
iosóngo, sòèrafùjesarràggio
tusiiérefùstesarràje
isso/essaè, jèèrasarrà
nujesìmmoèramofùjemosarrìmmo
vujesìteèravofùstevosarrìte
llorosóngo, sòèranofùronosarrànno
congiuntivocondizionaleimperativo
presenteimperfettopresentepresente
iosìa, séngafóssesarrìa-
tusìa, sìnghefùssesarrìstesìe
isso/essasìa, séngafóssesarrìa-
nujesiàmmofóssemosarrìamo-
vujesiàtefùssevosarrìssevosiàte
llorosìano, sénganofóssenosarrìano-
infinitogerundioparticipio
presentepresentepresentepassato
èssereessènnoessèntestàto

Avé

Nel suo uso isolato come “avere, possedere”, e riferendosi a sensazioni, o in vari altri casi, tale verbo è sostituito da tené: tené na casa, tené ’e sorde, tené famme, tené friddo, tené vint’anne. Eccezione è il suo uso in senso astratto in frasi come avé tuorto, avé raggione, avé pace, avé a che fà, avé ’a addó mettere o isolatamente nel senso di “ricevere”: ogge nun haje niente, ogne mese ave na cosa ’e sorde “oggi non ricevi nulla, ogni mese riceve dei soldi”. Oltre a questi casi avé è rimasto limitato agli usi perifrastici ed ausiliari, come la costruzione avé da che esprime obbligo: me n’aggio ’a jì “ho da, devo andare”.

Limitate all’uso ausiliare e alla perifrastica avé da (’a) sono alcune forme moderne contratte del presente indicativo: tu hê da fà, isso ha da fà, nuje ammo (immo) da fà, vuje ate (ite) da fà, che però sono inutilizzate nel significato lessicale: hê fatto e aje fatto sono entrambi corretti ma nella frase aje raggione solo la forma piena si può usare.

indicativo
presenteimperfettoperfettofuturo
ioàggioavévaaviétteavarràggio
tuàjeavìveavìsteavarràje
isso/essaàveavévaavètteavarrà
nujeavìmmoavévamoavèttemoavarrìmmo
vujeavìteavìvevoavìstevoavarrìte
llorohànnoavévanoavèttenoavarrànno
congiuntivocondizionaleimperativo
presenteimperfettopresentepresente
ioàggiaavésseavarrìa-
tuàggiaavìsseavarrìsteàgge
isso/essaàggiaavésseavarrìa-
nujeaggiàmmoavéssemoavarrìamo-
vujeaggiàteavìssevoavarrìssevoaggiàte
lloroàggianoavéssenoavarrìano-
infinitogerundioparticipio
presentepresentepresentepassato
avéavènnoavènteavùto

Questo verbo significa “andare” e come il suo corrispettivo italiano è stato formato con le radici di più verbi latini.

indicativo
presenteimperfettoperfettofuturo
iovàcojévajèttejarràggio
tuvàjejìvejìstejarràje
isso/essavajévajèttejarrà
nujejàmmojévemojèttemojarrìmmo
vujejàtejìvevojìstevojarrìte
llorovànnojévanojèttenojarrànno
congiuntivocondizionaleimperativo
presenteimperfettopresentepresente
iovàcajéssejarrìa-
tuvàcajìssejarrìsteva
isso/essavàcajéssejarrìa-
nujejàmmojéssemojarrìamo-
vujejàtejìssevojarrìssevojàte
llorovàcanojéssenojarrìano-
infinitogerundioparticipio
presentepresentepresentepassato
jènnojèntejùto

indicativo
presenteimperfettoperfettofuturo
iodóngodévadiéttedarràggio
tudàjedìvedìstedarràje
isso/essadévadèttedarrà
nujedàmmodévamodèttemodarrìmmo
vujedàtedìvevodìstevodarrìte
llorodànnodévanodètterodarrànno
congiuntivocondizionaleimperativo
presenteimperfettopresentepresente
iodìa, déngadéssedarrìa-
tudìa, dìnghedìssedarrìsteda’
isso/essadìa, déngadéssedarrìa-
nujediàmmodéssemodarrìamo-
vujediàtedìssevodarrìssevodàte
llorodìano, dénganodéssenodarrìano-
infinitogerundioparticipio
presentepresentepresentepassato
dànnodàntedàto

Stà

indicativo
presenteimperfettoperfettofuturo
iostóngostévastiéttestarràggio
tustàjestìvestìstestarràje
isso/essastàstévastèttestarrà
nujestàmmostévamostèttemostarrìmmo
vujestàtestìvevostìstevostarrìte
llorostànnostévanostètterostarrànno
congiuntivocondizionaleimperativo
presenteimperfettopresentepresente
iostìa, sténgastéssestarrìa-
tustìa, stìnghestìssestarrìstesta’
isso/essastìa, sténgastéssestarrìa-
nujestiàmmostéssemostarrìamo-
vujestiàtestìssevostarrìssevostàte
llorostìano, sténganostéssenostarrìano-
infinitogerundioparticipio
presentepresentepresentepassato
stàstànnostàntestàto

Altre irregolarità

Puté: indicativo presente pòzzo, puó, pò, putìmmo, putìte, pònno; congiuntivo presente pòzza, puózze, pòzza, puzzàmmo, puzzàte, pòzzano.

Vulé: indicativo presente vòglio, vuóle, vò, vulìmmo, vulìte, vònno; indicativo futuro vurràggio, vurràje, vurrà, vurrìmo, vurrìte, vurrànno; congiuntivo presente vòglia, vòglia, vòglia, vugliàmmo, vugliàte, vògliano; condizionale presente vurrìa, vurrìste, vurrìa, vurrìmmo, vurrìstevo, vurrìano.

: indicativo presente fàccio, fàje, fa, facìmmo, facìte, fànno; condizionale presente farrìa, farrìste, farrìa, farrìmmo, farrìstevo, farrìano oppure anche faciarrìa, faciarrìste, faciarrìa, faciarrìmmo, faciarrìstevo, faciarrìano; congiuntivo presente fàccia, fàccia, fàccia, facciàmmo, facciàte, fàcciano.

Dìcere: indicativo presente dìco, dìce, dìce, decìmmo, decìte, dìcono.

Sapé: indicativo presente sàccio, sàje, sape, sapìmmo, sapìte, sànno; congiuntivo presente sàccia, sàccia, sàccia, sacciàmmo, sacciàte, sàcciano.

Pronomi e verbi

Spesso in napoletano con i verbi in forma non personale (principalmente l’infinito) si antepone il pronome al verbo: pe te capì, pe lo vedé “per capirti, per vederlo”.

Quando a un verbo indefinito o a un imperativo vengono aggiunti due pronomi, l’accento si sposta e la parola diventa piana: “pìgliatelo” in napoletano si traduce con pigliatìllo. A seconda del genere del soggetto la vocale tonica cambia per metafonesi: pigliatìllo (’o becchiere), pigliatìlle (’e becchiere), pigliatélla (’a buttiglia), pigliatélle (’e buttiglie), pigliatéllo (’o ccafè). Si ponga attenzione al neutro: allo stesso modo contalo ma cuntamméllo, decìtence ma decitencéllo.

Passato remoto irregolare

In napoletano alla fine del 1700 è avvenuta una estinzione delle forme del passato remoto con tema irregolare, reliquia del sistema aspettuale latino. Ad esempio, àppe è stato sostituito da avètte, chiòppe da chiuvètte, chiànze da chiagnètte, mòsse/mòppe da muvètte, féce da facètte.

12) Verbi regolari

La I coniugazione corrisponde alla prima italiana. In napoletano però l’armonia vocalica ha portato alla fusione di quelle che in italiano sono la seconda coniugazione e la terza in una sola coniugazione, che chiameremo II. Segue la declinazione di due verbi regolari, amà e partì. Le desinenze hanno l’accento grafico solo quando portano rizoatonia al verbo (ovvero spostano l’accento dalla radice).

Indicativo presente

III
ioam - opart - o
tuam - epart - e
isso/essaam - apart - e
nujeam - àmmopart - ìmmo
vujeam - àtepart - ìte
lloroam - anopart - eno

Indicativo imperfetto

III
ioam - àvapart - éva
tuam - àvepart - ìve
isso/essaam - àvapart - éva
nujeam - àvamopart - évamo
vujeam - àvevopart - ìvevo
lloroam - àvanopart - évano

Indicativo perfetto

III
ioam - àjepart - iétte
tuam - àstepart - ìste
isso/essaam - àjepart - ètte
nujeam - àjemopart - èttemo
vujeam - àstevopart - ìstevo
lloroam - àjenopart - ètteno

Indicativo futuro

III
ioam - arràggiopart - arràggio
tuam - arràjepart - arràje
isso/essaam - arràpart - arrà
nujeam - arrìmmopart - arrìmmo
vujeam - arrìtepart - arrìte
lloroam - arrànnopart - arrànno

Congiuntivo presente

Oggi è generalmente disusato fuori da pochi resti quali mannaggia “ne abbia male”, ma nel napoletano storico e nella letteratura è saldamente presente; lo riportiamo per completezza.

III
ioam - epart - a
tuam - epart - a
isso/essaam - epart - a
nujeam - àmmopart - àmmo
vujeam - àtepart - àte
lloroam - enopart - ano

Congiuntivo imperfetto

III
ioam - àssepart - ésse
tuam - àssepart - ìssi
isso/essaam - àssepart - ésse
nujeam - àssemopart - éssemo
vujeam - àssevopart - ìssevo
lloroam - àssenopart - ésseno

Condizionale presente

Oggi è leggermente arcaico, e comunque può essere sostituito dal congiuntivo imperfetto: si me ’o chiedisse, t’ajutarria/t’ajutasse “se me lo chiedessi, ti aiuterei”, si me l’avisse ditto, l’avarria/avesse fatto “se me l’avessi detto, l’avrei fatto”, vurria/vulesse nu bicchiere d’acqua “vorrei un bicchiere d’acqua”.

III
ioam - arrìapart - arrìa
tuam - arrìstipart - arrìsti
isso/essaam - arrìapart - arrìa
nujeam - arrìamopart - arrìamo
vujeam - arrìssevopart - arrìssevo
lloroam - arrìanopart - arrìano

Imperativo presente

III
am - apart - etu!
am - àtepart - ìtevuje!

Infinito presente

III
am - àvenn - eresap - épart - ì

Gerundio presente

III
am - ànnopart - ènno

Participio presente

III
singolarepluralesingolareplurale
maschileam - ànteam - àntepart - èntepart - iénte
femminileam - ànteam - àntepart - èntepart - ènte
neutroam - àntepart - ènte

Participio passato

III
singolarepluralesingolareplurale
maschileam - àtoam - àtepart - ùtopart - ùte
femminileam - àtaam - àtepart - ùtapart - ùte
neutroam - àtopart - ùto