Areale approssimato in cui si parla il dialetto napoletano.
Il napoletano è un dialetto romanzo appartentente ai dialetti italoromanzi meridionali, parlata nel comune di Napoli e in una vasta zona circostante, comprendente molti comuni campani, tra cui Caserta, Capua, Castellammare di Stabia, Nola, Salerno, Amalfi. Il dialetto napoletano in accezione stretta non va confuso con la “lingua napoletana” intesa come il gruppo di dialetti romanzi affini parlati in gran parte dell’Italia meridionale, che formano insieme ai dialetti siciliani, a quelli centrali e a quelli toscani il gruppo delle lingue italoromanze, di cui fa parte ovviamente anche la lingua italiana. Tra i dialetti meridionali, appunto, è storicamente quello di maggior prestigio.
Nota dell’autore: ringrazio Mirko per la pazienza e l’aiuto fornito nello studio, e rimando alla sua pagina Instagram @neapxita.
1. Fonologia, pronuncia, grafiaLa seguente tabella riporta su ognuna delle colonne il grafema utilizzato, il fonema corrispondente e un esempio di parola con il suono. Seguono tutte le precisazioni ed esplicazioni necessarie, con alcune note di fonologia storica. I suoni sono indicati con l’Alfabeto Fonetico Internazionale. Seguono tutte le spiegazioni ed esplicazioni necessarie. La grafia che proponiamo si rifà a quella classica del Basile, del Cortese, dai vari autori teatrali e della canzone come Salvatore di Giacomo, con qualche minuto cambiamento, e alcune regole fissate con precisione sulla base della fonologia.
grafema | fonema | esempio |
---|---|---|
‹a› | /a/ [ɑ, ə] | anno ['anːə] |
‹b› | /b/ | buono ['bːwonə] |
‹c + e, i› | /t͡ʃ/ [ʃ, d͡ʒ] | cerasa [ʃə'rasa] |
‹c + a o u h› | /k/ [g] | cane ['kanə] |
‹q› | quanno ['kwanːə] | |
‹d› | /d/ [r] | duje ['dːujə] |
‹e› | /ɛ/ | erva ['ɛrva] |
/e/ [ə, i] | essa ['esːə] | |
‹f› | /f/ [v] | felice [fə'liʃə] |
‹g + e, i› | /d͡ʒ/ | gente ['d͡ʒːɛndə] |
‹g + a o u h› | /g/ | granne ['granːə] |
‹gn› | /ɲ/ | gnuoccolo ['ɲːwokːulə] |
‹gli› | /ʎ/ [ʝ] | gliuommero ['ʎːwomːərə] |
‹i› | /i/ | isso ['isːə] |
‹j› | /j/ [gj] | jì [jːi] |
‹l› | /l/ | lengua ['leŋgwa] |
‹m› | /m/ | mate ['matə] |
‹n› | /n/ [ɱ, ŋ] | notte ['nɔtːə] |
‹o› | /ɔ/ | otto ['ɔtːə] |
/o/ [ə, u] | ora ['orə] | |
‹p› | /p/ [b] | pica ['pika] |
‹r› | /r/ | robba ['rɔbːa] |
‹s› | /s/ [z, ʃ, ʒ, d͡z] | signo ['siɲːə] |
‹sc + e i› | /ʃ/ | scetà [ʃːə'ta] |
‹t› | /t/ [d] | tiempo ['tjembə] |
‹u› | /u/ | urzo ['urt͡sə] |
/w/ | uovo [ˈwovə] | |
‹v› | /v/ [b] | vino ['vinə] |
‹z› | /t͡s/ [d͡z] | zumpo ['t͡sːumbə] |
/d͡z/ | zella ['d͡zːɛlːa] |
Le vocali atone in napoletano confluiscono verso la vocale centrale media [ə], o verso le vocali alte [i, u]. Ad esempio, la frase chillo cane può pronunciarsi ['kilːə 'kanːə], oppure ['kilːu 'kanːə]; belle rrose ['bːɛlːə 'rːɔsə], oppure ['bːɛlːi 'rːɔsə]; urdemo ['urdəmə] oppure ['urdimə], Napole ['napələ], oppure ['napulə], scetà [ʃːə'ta] oppure [ʃːi'ta]. La riduzione comunque può variare da assente a completa in diverse parti della frase e in base a vari fattori, come la posizione in sintassi o la velocità. A causa di questa confusione, per una stessa parola ci sono più pronunce del tutto equivalenti come quelle citate prima; cercando di fissarne la scrittura, in questa grammatica la grafia delle atone segue questi principi, che consigliamo:
L’accento circonflesso ‹ˆ› non influisce sulla pronuncia ma segnala la fusione di due vocali, principalmente nelle preposizioni articolate, negli incontri di pronomi e in taluni verbi, ed è necessario per disambiguare alcune voci (v. Preposizioni articolate).
‹j› (i longa) rappresenta l’approssimante palatale /j/. Quando è raddoppiata, questa consonante muta in [gj]: jatto, jì ['jatːə, ji] ma cane e jatte ['kanə e 'gːjatːə]; prima di /i/, la [j] di questo nesso cade: a jì [a gːi]. Trattandosi di un’allofonia, tale fenomeno non è da segnalarsi graficamente (fuori dall’eccezione discussa nella prossima sezione).
Dopo le consonanti nasali qualsiasi consonante sorda si pronuncia sonora; essendo un fenomeno allofonico che si può verificare anche tra parole diverse, graficamente non è riprodotto, nemmeno internamente alle parole: sempre, cantà, ’nferno, janco, ’ncegnà si pronunciano ['sɛmbrə, kan'da, 'ɱvɛrnə, 'jaŋgə, nd͡ʒi'ɲːa]. /s/ dopo /n/ oltre a sonorizzarsi si affrica: ’n sango [n 'd͡zaŋgə].
/s/ si pronuncia: [ʃ] prima di /p, f, k/, come in spata ['ʃpata]; [z] prima di /d, n, r, l/, come in sdigno ['zdiɲːə]; [ʒ] prima di /b, v, g, d͡ʒ, ɲ, m/, come in smorfia ['ʒmorfja]. Tra vocali invece si pronuncia sempre sordo [s]; non ci sono parole con [z] sonoro come in Toscana.
/t͡ʃ/ (la “C dolce”) tra vocali o ad inizio di frase si deaffrica in [ʃ] (come nell’inglese “she” e nel francese “chateau”, o anche nell’italiano “scia”, ma breve): pace ['paʃə]. Ciò però non quando è dopo una parola raddoppiante: cena, ’a cena, a cena ['ʃena, a 'ʃena, a 't͡ʃːena].
/d/ quando è tra vocali o ad inizio di frase si rotacizza: pede, demane ['pɛrə, ri'manə]. Le parole raddoppianti però inibiscono questa allofonia: a demane [a dːi'manə].
/b, d͡ʒ/ sono doppi dopo una vocale o ad inizio di frase: buono, gente ['bːwonə, 'd͡ʒːɛndə].
Vi è un marcato betacismo, cioè la tendenza ad accorpare /b/ a /v/, come in varca. Non si tratta di un fenomeno completamente regolare, infatti esistono parole come buono che conservano /b/. Però /v/ raddoppiato passa comunque, indipendentemente dall’origine, a [b]: tre varche, che vole pronunciansi [tre 'bːarkə, ke bːɔlə]. La norma grafica da noi adottata quindi è quella di scrivere sempre e solamente ‹v›, tranne nelle parole che conservano /b/ in isolamento (fuori dall’eccezione discussa nella prossima sezione).
Nel nesso /gw/, qualora non sia soggetto a raddoppiamento, /g/ cade (ma viene scritto in ogni caso): guaglione [wa'ʎːonə] ma tre guagliune [tre gːwa'ʎːunə].
L’apostrofo ‹’› si usa in generale negli stessi casi dell’italiano, e in particolare per segnalare l’aferesi, molto più diffusa che in italiano, negli articoli (’o da lo) e nelle parole che iniziano nei nessi con nasale + consonante (’nferno, ’ncantà, ’mmità, ’mmidia).
Non discostandoci noi dalla grafia italiana standard, non segnaliamo graficamente il raddoppiamento fonosintattico. Abbiamo però scelto di fare eccezione per gli articoli, aggettivi e pronomi che, se sono femminili plurali o neutri singolari, causano il raddoppiamento nella parola successiva, ma di per sé sono spesso indistinguibili, tanto nella pronuncia quanto, altrimenti, nella scrittura, da altre parole che invece non lo causano. Segnalare il loro effetto è d’uopo, in quanto può causare differenze di significato: ’e figlie “i figli” è diverso da ’e ffiglie “le figlie”, ’e case “i casi” da ’e ccase “le case”, ’o fierro da ’o ffierro. Qui solo si rappresentano gli allofoni raddoppiati di /j, v/, cioè [gːj, bː], cioè ‹gghi, bb›: jatte, voce dopo articolo volgono in ’e gghiatte, ’e bboce. ‹q› raddoppiata è resa come ‹cq›: ’e cquestione.
La metafonesi è un fenomeno di armonia vocalica regressiva, ovvero in cui le vocali di una parola diventano più simili alla vocale finale (si armonizzano) per agevolare la pronuncia. In napoletano la metafonesi è stata causata in epoca volgare dalle vocali /i, u/ in fine di parola e consiste nel dittongamento o nell’innalzamento (poiché fisicamente la lingua si innalza) della vocale tonica secondo questo schema:
ɛ > je
e > i
ɔ > wo
o > u
Dipendendo tale fenomeno dalle vocali finali, ed essendo le lingue romanze moderatamente flessive, si sono create molte differenze tra le varie forme di una stessa parola. Prendiamo l’aggettivo latino bonus, che si è evoluto in napoletano così: bonum > *bònu > *buónu > buóno (/u/ finale si è regolarmente aperto in /o/, che oggi è pronunciato come scevà [ə]). Allo stesso modo il plurale: bonī > *bòni > *buóni > buóne. Nella forma femminile invece la vocale finale era diversa, e difatti bonam ha dato bòna, senza alcun dittongo. In generale quindi possono esserci nella flessione di una parola differenze vocaliche:
Una caratteristica delle lingue romanze è l’appartenenza di ogni sostantivo a un genere che ne determina la flessione e l’accordo. Nella maggior parte delle dette lingue sono presenti il genere maschile e il femminile. In molti dialetti mediani e italomeridionali è presente una terza categoria flessiva, che chiameremo neutro. In essi dialetti il maschile contiene solo nomi contabili, e il neutro contiene solamente nomi non contabili, e che in italiano se hanno corrispettivi sono maschili: ’o taulo, ’o ciore, ’o peccerillo sono maschili perché sono contabili e determinati, mentre ’o ssale, ’o mmele, ’o mmale sono neutri perché non sono contabili. Ciò vuol dire che lo stesso lemma può essere maschile e neutro con significati diversi: ’o fierro indica un oggetto di ferro (e. g. un attrezzo), mentre ’o ffierro indica il ferro come materiale.
Tuttavia oltre ai sostantivi propriamente neutri si accordano al neutro varie parti del discorso:
Quando nelle costruzioni relative ci si riferisce a una proposizione, lo si fa al neutro: ’o ssaccio (che isso...), mentre se l’oggetto fosse stato maschile: ’o saje stu fatto? Lo stesso con i pronomi dimostrativi: chesto è chello che voglio.
singolare | plurale | |||
---|---|---|---|---|
prima di consonante | prima di vocale | prima di consonante | prima di vocale | |
maschile | lo ’o | ll’ | le ’e | ll’ |
femminile | la ’a | ll’ | le ’e + radd. | ll’ |
neutro | lo ’o + radd. | ll’ |
Come si è detto, l’articolo neutro causa raddoppiamento fonosintattico nel sostantivo seguente: ’o mmele, ’o mmale, ’o nniro, ’o rrock. Similmente, gli articoli plurali sono all’apparenza identici per entrambi i generi, ma l’articolo femminile causa il raddoppiamento fonosintattico: ’o guaglione al plurale fa ’e guagliune, ma ’a guagliona fa ’e gguaglione.
singolare | ||
---|---|---|
prima di consonante | prima di vocale | |
maschile | nu | n’ |
femminile | na | n’ |
All’articolo partitivo corrispondono perifrasi come nu poco ’e latte, quacche sordo.
La riduzione vocalica ha portato gli esiti dei plurali, e spesso anche del singolare e del plurale di una stessa parola (cane può voler dire tanto “cane” quanto “cani”), a coincidere. Alcuni sostantivi maschili derivanti da neutri latini hanno il plurale femminile e in -a. I neutri al plurale (ragionevolmente raro trattandosi di non contabili) si comportano semplicemente come maschili: ’e fierre “le qualità di ferro” (e ovviamente “gli attrezzi in ferro”).
In molti casi la differenza tra singolare e plurale viene coadiuvata o sostenuta dalla metafonesi: ’o sèrpe > ’e sierpe, ’o pèttene > ’e piettene, ’o patrone > ’e patrune, ’o niespolo > ’e nnèspola, ’o milo > ’e mmela, òmmo > uómmene, pède > piéde. Confrontare in inglese “man, foot” al plurale “men, feet”.
singolare | plurale | ||
---|---|---|---|
maschile | figli - o uov - o | figli - e ciur - e | ov - a |
cior - e | |||
femminile | figli - a | figli - e mat - e |
|
mat - e | |||
neutro | fierr - o | ||
mel - e |
Come gli articoli, gli aggettivi al plurale femminile e al singolare neutro raddoppiano la consonante iniziale nel nome a cui si riferiscono, qualora li succeda: belle ccose, tante vvote, chello mmele.
Il vocativo si forma troncando il sostantivo sulla vocale accentata: Salvatore, Maria, Carlo, dottore, segnore > Salvato’, Mari’, Ca’, dutto’, segno’. Dei nomi composti si tronca solo l’ultimo elemento: Maria Cristina > Maria Cristi’.
Le preposizioni sono le seguenti:
de, a, da, ’n, addó, cu, pe, tra (intra), fra (infra)
La funzione locativa è ricoperta da a, addó, en, dinto, che esprimono sia moto a luogo che stato a luogo. Addó si riferisce solamente a referenti umani: vaco addó ’o tabbacaro, jammo tutte ’e mise addó ’o dentista, stongo addó Lucia.
De (spesso con aferesi: ’e) ha numerosi utilizzi, tutti condivisi con l’italiano: di specificazione (è no libbro ’e grammateca napoletana), possessivo (’a casa ’e Maria è chella là), complemento verbale, argomento (lle piace ’e parlà ’e politeca), causa (me moro ’e famme).
A esprime anche il complemento di termine (lle dice tutte ccose a Sara) e talora introduce un oggetto animato (v. 9. Pronomi). Viene usato per esprimere moto a luogo anche davanti a nomi di regioni, nazioni e continenti: jette â Campania, â Spagna. Marca anche il possesso inalienabile e i rapporti di parentela in costruzioni quali è figlio a isso, simmo amice a Rafaele.
Da (spesso con aferesi: ’a) esprime la provenienza e il moto da luogo, similmente all’italiano: da Napole, dâ Spagna, da dinto â casa, se vestette ’a prevete “si vestì da (come un) prete”; in particolare esprime anche il complemento d’agente: nu libbro scritto ’a isso stisso.
’N è tipica di certe locuzioni cristallizzate: ’n terra, ’n coppa, ’n vocca, ’n ponta, ’n canna, ’n faccia, ’n cuorpo (notare la mancanza di articolo). Talora è usata anche per indicare lo stato in luogo riferendosi a stati o continenti (’n Italia, ’n Amereca).
Co esprime le stesse funzioni del corrispettivo italiano “con”, cioè compagnia, mezzo e modo.
Pe non differisce molto nell’uso dal “per” italiano.
Tra, fra, o anche intra, infra, hanno lo stesso uso che hanno in italiano, ma spesso sono sostituite dalla costruzione in miezo a.
Gli articoli “integri” rimangono semplicemente slegati: de lo re, a la majestra, co la casa.
Insieme agli articoli con aferesi invece, le preposizioni perdono la vocale. Dato il gran numero di omografi che altrimenti si creerebbero, si riproduce la fusione delle due vocali con un accento circonflesso, per disambiguare molti casi quali da “da” ~ dâ “della, dalla”, de “di” ~ dê “delle, dalle” e simili. Anche qui la distinzione tra maschile e femminile al plurale e tra maschile e neutro al singolare è indicata dal raddoppiamento.
’o | ’a | ’e | ll’ | |
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de | dô | dâ | dê | dell’ |
a | ô | â | ê | all’ |
da | dô | dâ | dê | dall’ |
co | cô | câ | cu ’e | cull’ |
pe | pô | pâ | pê | pell’ |
Il napoletano possiede tre dimostrativi, consimili agl’italiani, chisto, chisso e chillo. I dimostrativi neutri chesto, chesso, chello si usano solitamente per riferirsi a delle proposizioni: chello che se fà, chesto è chello che voglio!, saccio chesto (che sottintendono altre frasi); si possono paragonare al “ciò” italiano (il cui corrispondente in napoletano sarebbe l’antiquato zò).
Chisto indica qualcosa di vicino a chi parla, ed equivale all’italiano “questo”. Ha due forme diverse, una breve, usata solo quando è un aggettivo, e una “piena”, usata solitamente quando è un pronome, ma utilizzabile anche come aggettivo. L’avverbio di luogo corrispondente è ccà.
singolare | plurale | |||
---|---|---|---|---|
prima di consonante | prima di vocale | prima di consonante | prima di vocale | |
maschile | chisto sto | chist’ st’ | chiste ste | chist’ st’ |
femminile | chesta sta | chest’ st’ | cheste + radd. ste + radd. | chest’ st’ |
neutro | chesto + radd. sto + radd. | chest’ st’ |
Chisso indica qualcosa di vicino a chi ascolta, e corrisponde all’italiano “codesto”.
singolare | plurale | |||
---|---|---|---|---|
prima di consonante | prima di vocale | prima di consonante | prima di vocale | |
maschile | chisso | chiss’ | chisse | chiss’ |
femminile | chessa | chess’ | chesse + radd. | chess’ |
neutro | chesso + radd. | chess’ |
Chillo indica qualcosa di distante da chi parla e da chi ascolta, e corrisponde all’italiano “quello”. L’avverbio di luogo corrispondente è llà, oppure lloco (entrambi col significato di “in quel luogo”).
singolare | plurale | |||
---|---|---|---|---|
prima di consonante | prima di vocale | prima di consonante | prima di vocale | |
maschile | chillo | chill’ | chille | chill’ |
femminile | chella | chell’ | chelle + radd. | chell’ |
neutro | chello + radd. | chell’ |
L’aggettivo possessivo, nelle costruzioni regolari, si può usare esclusivamente dopo al sostantivo. Citando Ferdinando Galliani in Del dialetto napoletano: “Un Napoletano, che sentisse dir mia mamma avrebbe tal paura, che griderebbe subito mamma mia!”.
Talora in luogo del possessivo semplice si usa la costruzione perifrastica dô mio, che viene sempre declinata in base al nome a cui ci si riferisce: n’amico dô mio, n’amica dâ mia, sorde dê mieje “un mio amico, una mia amica, soldi miei”.
maschile/neutro | femminile | |||
---|---|---|---|---|
singolare | plurale | singolare | plurale | |
1a persona singolare | mio | mieje | mia | meje |
2a persona singolare | tuojo | tuoje | toja | toje |
3a persona singolare | suojo | suoje | soja | soje |
1a persona plurale | nuosto | nuoste | nosta | noste |
2a persona plurale | vuosto | vuoste | vosta | voste |
3a persona plurale | lloro | lloro | lloro | lloro |
I possessivi enclitici sono aggettivi in forma di particelle atone aggiunte al nome a cui si riferiscono. Si utilizzano esclusivamente per i nomi di parentela: patemo, fratemo, moglierata, nonnata “mio padre, mio fratello, tua moglie, tua nonna”.
maschile | femminile | |
---|---|---|
1a persona singolare | -mo | -ma |
2a persona singolare | -to | -ta |
Il pronome dativo di terza persona ha due forme possibili: lle dico e ce dico entrambi vogliono dire “dico a lui, a lei, a loro”. Ce ha anche la variante ’nce.
Il pronome neutro, come l’articolo, raddoppia l’eventuale verbo che segue: ’o ddice, ’o bbide, ’o ssaccio “lo dice, lo vedi, lo so”.
soggetto | oggetto | obliquo | termine | riflessivo | |
---|---|---|---|---|---|
1a persona singolare | io | me | mé | me | me |
2a persona singolare | tu | te | té | te | te |
3a persona singolare | isso (m.) essa (f.) | lo (m.) la (f.) lo + radd. (n.) | isso (m.) essa (f.) | lle ce, ’nce | se |
1a persona plurale | nuje | ce, ’nce | nuje | ce, ’nce | ce, ’nce |
2a persona plurale | vuje | ve | vuje | ve | ve |
3a persona plurale | llòro | le (m.) le + radd. (f.) | llòro | lle ce, ’nce | se |
Vi è anche un pronome comitativo, che ha solo prima e seconda persona singolari: commico, cottico equivalenti a co mé, co té “con me, con te”.
Quando a un verbo indefinito o a un imperativo vengono aggiunti due pronomi, l’accento si sposta e la parola risultante è piana: “pìgliatelo” in napoletano si traduce con pigliatìllo. A seconda del genere del soggetto la vocale tonica cambia per metafonesi: pigliatìllo (’o becchiere), pigliatìlle (’e becchiere), pigliatélla (’a buttiglia), pigliatélle (’e buttiglie), pigliatéllo (“penso che egli viene”o ccafè). Si ponga attenzione al neutro: allo stesso modo contalo ma contamméllo, dicìtence ma dicitencéllo.
Come in italiano antico, spesso in napoletano con i verbi in forma non personale (principalmente l’infinito) si antepone il pronome al verbo: pe te capì, pe lo vedé “per capirti, per vederlo”.
La particella -ne si può aggiungere alle parole tronche, in genere ai monosillabi, con valore puramente ritmico: no > none, tu > tune etc.
Tradizionalmente, la differenza tra che e ca, non sempre rispettata, è a grandi linee questa:
Dopo verbi che esprimono una volontà, un desiderio, un fine della azione, si usa solamente che: voglio che vene “voglio che egli venga”.
Dopo verbi che esprimono conoscenza, più generalmente nelle frasi dichiarative, si usano entrambi: penzo ca vene “penso che egli viene”, saccio che mo è venuto “so che adesso è venuto”, so certo ca faciste buono “son certo che hai fatto bene”, non vide ca stongo ccà?.
Nel dialetto moderno, si tende ad usare soprattutto ca in tutti i contesti (tralasciando naturalmente il pronome che, sempre ben distinto: fa’ de me chello che vuo’, l’ommo che aggio visto ajere).
La I coniugazione corrisponde alla prima italiana. In napoletano però seconda coniugazione e la terza in una sola coniugazione, che chiameremo II. Segue la declinazione di due verbi regolari, amà e partì. Le desinenze hanno l’accento grafico solo quando portano rizoatonia al verbo (ovvero spostano l’accento dalla radice). La dicitura (metaf.) indica che se la vocale è passibile di metafonesi, la terminazione la causerà.
I tempi composti si formano come in italiano coniugando avé + participio passato nella diatesi attiva, o èssere + participio passato nella diatesi passiva. Nella formazione dei tempi composti attivi, essere non è contemplato (si sta diffondendo, ma si tratta di influenza italiana), anche quando il verbo sia intransitivo o riflessivo: aggio juto, ha muorto, t’haje vestuto (confrontare l’inglese “I have gone, he has died, thou hast dressed thyself”). Per formare il passivo invece si userà essere come in italiano: fu vattuto, fujemo salutate.
I | II | |
---|---|---|
io | am - o | part - o |
tu | am - e (metaf.) | part - e (metaf.) |
isso | am - a | part - e |
nuje | am - àmmo | part - ìmmo |
vuje | am - àte | part - ìte |
lloro | am - ano | part - eno |
I | II | |
---|---|---|
io | am - àva | part - éva |
tu | am - àve | part - ìve |
isso | am - àva | part - éva |
nuje | am - àvamo | part - évamo |
vuje | am - àvevo | part - ìvevo |
lloro | am - àvano | part - évano |
I | II | |
---|---|---|
io | am - àje | part - iétte |
tu | am - àste | part - ìste |
isso | am - àje | part - ètte |
nuje | am - àjemo | part - èttemo |
vuje | am - àstevo | part - ìstevo |
lloro | am - àjeno | part - ètteno |
In napoletano alla fine del 1700 si sono estinte del tutto le forme del passato remoto forti (accentate sulla radice), reliquia del sistema aspettuale latino. Ad esempio, àppe è stato sostituito da avètte, chiòppe da chiovètte, chiànze da chiagnètte, mòsse/mòppe da movètte, féce da facètte.
I | II | |
---|---|---|
io | am - arràggio | part - arràggio |
tu | am - arràje | part - arràje |
isso | am - arrà | part - arrà |
nuje | am - arrìmmo | part - arrìmmo |
vuje | am - arrìte | part - arrìte |
lloro | am - arrànno | part - arrànno |
Oggi è generalmente disusato fuori da pochi resti quali mannaggia “ne abbia male”, ma nel napoletano storico e nella letteratura è saldamente presente; lo riportiamo per completezza.
I | II | |
---|---|---|
io | am - e (metaf.) | part - a |
tu | am - e (metaf.) | part - a |
isso | am - e (metaf.) | part - a |
nuje | am - ìmmo | part - àmmo |
vuje | am - ìte | part - àte |
lloro | am - eno | part - ano |
I | II | |
---|---|---|
io | am - àsse | part - ésse |
tu | am - àsse | part - ìssi |
isso | am - àsse | part - ésse |
nuje | am - àssemo | part - éssemo |
vuje | am - àssevo | part - ìssevo |
lloro | am - àsseno | part - ésseno |
Oggi è leggermente arcaico, e comunque può essere sostituito dal congiuntivo imperfetto: si me ’o cercasse, t’ajutarria/t’ajutasse “se me lo chiedessi, ti aiuterei”, si me l’avisse ditto, l’avarria/avesse fatto “se me l’avessi detto, l’avrei fatto”, vorria/volesse nu bicchiere d’acqua “vorrei un bicchiere d’acqua”.
I | II | |
---|---|---|
io | am - arrìa | part - arrìa |
tu | am - arrìste | part - arrìste |
isso | am - arrìa | part - arrìa |
nuje | am - arrìamo | part - arrìamo |
vuje | am - arrìssevo | part - arrìssevo |
lloro | am - arrìano | part - arrìano |
I | II | |
---|---|---|
am - a | part - e | tu! |
am - àte | part - ìte | vuje! |
I | II | ||
---|---|---|---|
am - à | venn - ere | sap - é | part - ì |
I | II |
---|---|
am - ànno | part - ènno |
I | II | |||
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singolare | plurale | singolare | plurale | |
maschile | am - ànte | am - ànte | part - ènte | part - iénte |
femminile | am - ànte | am - ànte | part - ènte | part - ènte |
neutro | am - ànte | part - ènte |
I | II | |||
---|---|---|---|---|
singolare | plurale | singolare | plurale | |
maschile | am - àto | am - àte | part - ùto | part - ùte |
femminile | am - àta | am - àte | part - ùta | part - ùte |
neutro | am - àto | part - ùto |
Quando lo stato in cui il soggetto si trova è temporaneo, gli si predilige stà: stongo a Napule, stongo ammalato, però songo napoletano, songo junno.
indicativo | ||||
---|---|---|---|---|
presente | imperfetto | p. remoto | futuro | |
io | sóngo, sò | èra | fùje | sarràggio |
tu | si | iére | fùste | sarràje |
isso | è, jè | èra | fù | sarrà |
nuje | sìmmo | èramo | fùjemo | sarrìmmo |
vuje | sìte | èravo | fùstevo | sarrìte |
lloro | sóngo, sò | èrano | fùrono | sarrànno |
congiuntivo | condizionale | imperativo | ||
presente | imperfetto | presente | presente | |
io | sìa, sénga | fósse | sarrìa | - |
tu | sìa, sìnghe | fùsse | sarrìste | sìe |
isso | sìa, sénga | fósse | sarrìa | - |
nuje | siàmmo | fóssemo | sarrìamo | - |
vuje | siàte | fùssevo | sarrìssevo | siàte |
lloro | sìano, séngano | fósseno | sarrìano | - |
infinito | gerundio | participio | ||
presente | presente | presente | passato | |
èssere | essènno | essènte | stàto |
Nel suo uso isolato come “avere, possedere”, e riferendosi a sensazioni, o in vari altri casi, tale verbo è sostituito da tené: tené na casa, tené ’e sorde, tené famme, tené friddo, tené vint’anne. Eccezione è il suo uso in senso astratto in frasi come avé tuorto, avé raggione, avé pace, avé a che fà, avé ’a addó mettere o isolatamente nel senso di “ricevere”: ogge non haje niente, ogne mese ave na cosa ’e sorde “oggi non ricevi nulla, ogni mese riceve dei soldi”. Oltre a questi casi avé è rimasto limitato agli usi perifrastici ed ausiliari, come la costruzione avé da che esprime obbligo: me n’aggio ’a jì “ho da, devo andare”.
Limitate all’uso ausiliare e alla perifrastica avé da (’a) sono alcune forme moderne contratte del presente indicativo: tu hê da fà, isso ha da fà, nuje ammo (immo) da fà, vuje ate (ite) da fà, che però sono inutilizzate nel significato lessicale: hê fatto e aje fatto sono entrambi corretti ma nella frase aje raggione solo la forma piena si può usare.
indicativo | ||||
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presente | imperfetto | p. remoto | futuro | |
io | àggio | avéva | aviétte | avarràggio |
tu | àje (hê) | avìve | avìste | avarràje |
isso | àve (ha) | avéva | avètte | avarrà |
nuje | avìmmo (ammo) | avévamo | avèttemo | avarrìmmo |
vuje | avìte (ate) | avìvevo | avìstevo | avarrìte |
lloro | hànno | avévano | avètteno | avarrànno |
congiuntivo | condizionale | imperativo | ||
presente | imperfetto | presente | presente | |
io | àggia | avésse | avarrìa | - |
tu | àggia | avìsse | avarrìste | àgge |
isso | àggia | avésse | avarrìa | - |
nuje | aggiàmmo | avéssemo | avarrìamo | - |
vuje | aggiàte | avìssevo | avarrìssevo | aggiàte |
lloro | àggiano | avésseno | avarrìano | - |
infinito | gerundio | participio | ||
presente | presente | presente | passato | |
avé | avènno | avènte | avùto |
Questo verbo significa “andare” e come il suo corrispettivo italiano è stato formato con le radici di più verbi latini.
indicativo | ||||
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presente | imperfetto | p. remoto | futuro | |
io | vàco | jéva | jètte | jarràggio |
tu | vàje | jìve | jìste | jarràje |
isso | va | jéva | jètte | jarrà |
nuje | jàmmo | jévemo | jèttemo | jarrìmmo |
vuje | jàte | jìvevo | jìstevo | jarrìte |
lloro | vànno | jévano | jètteno | jarrànno |
congiuntivo | condizionale | imperativo | ||
presente | imperfetto | presente | presente | |
io | vàca | jésse | jarrìa | - |
tu | vàca | jìsse | jarrìste | va |
isso | vàca | jésse | jarrìa | - |
nuje | jàmmo | jéssemo | jarrìamo | - |
vuje | jàte | jìssevo | jarrìssevo | jàte |
lloro | vàcano | jésseno | jarrìano | - |
infinito | gerundio | participio | ||
presente | presente | presente | passato | |
jì | jènno | jènte | jùto |
indicativo | ||||
---|---|---|---|---|
presente | imperfetto | p. remoto | futuro | |
io | dóngo | déva | diétte | darràggio |
tu | dàje | dìve | dìste | darràje |
isso | dà | déva | dètte | darrà |
nuje | dàmmo | dévamo | dèttemo | darrìmmo |
vuje | dàte | dìvevo | dìstevo | darrìte |
lloro | dànno | dévano | dèttero | darrànno |
congiuntivo | condizionale | imperativo | ||
presente | imperfetto | presente | presente | |
io | dìa, dénga | désse | darrìa | - |
tu | dìa, dìnghe | dìsse | darrìste | da’ |
isso | dìa, dénga | désse | darrìa | - |
nuje | diàmmo | déssemo | darrìamo | - |
vuje | diàte | dìssevo | darrìssevo | dàte |
lloro | dìano, déngano | désseno | darrìano | - |
infinito | gerundio | participio | ||
presente | presente | presente | passato | |
dà | dànno | dànte | dàto |
indicativo | ||||
---|---|---|---|---|
presente | imperfetto | p. remoto | futuro | |
io | stóngo | stéva | stiétte | starràggio |
tu | stàje | stìve | stìste | starràje |
isso | stà | stéva | stètte | starrà |
nuje | stàmmo | stévamo | stèttemo | starrìmmo |
vuje | stàte | stìvevo | stìstevo | starrìte |
lloro | stànno | stévano | stèttero | starrànno |
congiuntivo | condizionale | imperativo | ||
presente | imperfetto | presente | presente | |
io | stìa, sténga | stésse | starrìa | - |
tu | stìa, stìnghe | stìsse | starrìste | sta’ |
isso | stìa, sténga | stésse | starrìa | - |
nuje | stiàmmo | stéssemo | starrìamo | - |
vuje | stiàte | stìssevo | starrìssevo | stàte |
lloro | stìano, sténgano | stésseno | starrìano | - |
infinito | gerundio | participio | ||
presente | presente | presente | passato | |
stà | stànno | stànte | stàto |
Poté: indicativo presente pòzzo, puó, pò, potìmmo, potìte, pònno; congiuntivo presente pòzza, puózze, pòzza, pozzàmmo, pozzàte, pòzzano.
Vulé: indicativo presente vòglio, vuóle, vò, volìmmo, volìte, vònno; indicativo futuro vorràggio, vorràje, vorrà, vorrìmo, vorrìte, vorrànno; congiuntivo presente vòglia, vòglia, vòglia, vogliàmmo, vogliàte, vògliano; condizionale presente vorrìa, vorrìste, vorrìa, vorrìmmo, vorrìstevo, vorrìano.
Fà: indicativo presente fàccio, fàje, fa, facìmmo, facìte, fànno; condizionale presente farrìa, farrìste, farrìa, farrìmmo, farrìstevo, farrìano oppure anche faciarrìa, faciarrìste, faciarrìa, faciarrìmmo, faciarrìstevo, faciarrìano; congiuntivo presente fàccia, fàccia, fàccia, facciàmmo, facciàte, fàcciano.
Dìcere: indicativo presente dìco, dìce, dìce, dicìmmo, dicìte, dìcono.
Sapé: indicativo presente sàccio, sàje, sape, sapìmmo, sapìte, sànno; congiuntivo presente sàccia, sàccia, sàccia, sacciàmmo, sacciàte, sàcciano.